Il braccio violento della legge, di William Friedkin

Un’opera personalissima e originale che si pone da subito come pietra miliare della New Hollywood. Vincitore di 5 Oscar. Stasera, ore 21.10, Sky Collection

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Il braccio violento della legge nasce da una scommessa tra Howard Hawks e Il giovane William Friedkin: riuscire a superare il ritmo frenetico degli inseguimenti di Bullitt (1968) di Peter Yates riportando il poliziesco alla sua primordiale carica spettacolare. Pur partendo da questi presupposti William Friedkin contamina la sua opera con la Nouvelle Vague (Godard, Fino all’ultimo respiro), lo stile semi documentaristico (Costa Gavras, Z – l’orgia del Potere), il New American Cinema (Cassavetes) e l’urban gothic (Polanski). Il risultato è un’ opera personalissima e originale che si pone da subito come pietra miliare della New Hollywood.

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La storia si basa su eventi realmente accaduti 10 anni prima e segue le tracce dell’omonimo libro inchiesta di Robin Moore su due poliziotti di New York, Eddie Egan e Sonny Grosso, capaci di intercettare un grosso traffico internazionale di eroina. Nella finzione cinematografica i due poliziotti diventano il nevrotico Jimmy “Popeye” Doyle (Gene Hackman) e l’introverso Buddy Russo (Roy Schneider) che inseguono il boss marsigliese Alain Charnier (Fernando Rey), il prestanome Henri Deveraux (Frédéric de Pasquale) e il basista americano Sal Boca (Tony Lo Bianco).

William Friedkin crea un ambiente paranoico e claustrofobico in cui il pericolo si cela dietro ogni incrocio, ad ogni fermata di metropolitana. I colori cupi della fotografia di Owen Roizman (I tre giorni del Condor, Quinto potere) e le musiche ansiogene di Don Ellis allarmano lo spettatore lanciandolo nel mezzo di un inferno urbano. Il montaggio parallelo iniziale con la doppia vicenda che si svolge tra Marsiglia e New York toglie le prime certezze su uno svolgimento convenzionale: il sicario francese spara in faccia al poliziotto e dà un morso alla baguette. Doyle si traveste da Babbo Natale ma è pronto a interrompere la sua Jingle Bells per pestare a sangue uno spacciatore. Alla violenza si associa il sadismo e lo sberleffo. E il personaggio interpretato da Gene Hackman è davvero sgradevole, razzista, cinico, dedito a rapporti sadomaso e feticista (ha un debole per gli stivali delle ragazze). L’ossessione per la soffiata giusta lo ingobbisce, lo trasforma in un animale rapace che fa più paura del male che vuole combattere. Nel pedinamento del boss marsigliese, Doyle tradisce un senso di inferiorità verso un mondo lussuoso che lo tiene doverosamente a distanza. Questa frustrazione esplode nella irruzione nel locale all black girata in stile documentaristico. Friedkin usa tutti i trucchi del mestiere per mostrare questa ossessione-compulsione: cambi di focus, veloci movimenti di macchina, zoom a rivelare dettagli, panoramiche a schiaffo, tagli di montaggio, inquadrature oblique. Doyle muore di freddo e addenta un misero panino mentre Alain Charnier mangia al caldo in un ristorante cinque stelle.

New York diventa una metropoli demoniaca in cui un cecchino non esita a sparare su persone innocenti. I raccordi di sguardo svelano complotti: la scena del night club in cui si esibiscono le The Three Degrees (cantano Everybody Gets to Go to The Moon) è perfetta nel suo alternare la frivolezza dell’ambiente con la paranoia di Popeye Doyle. Ma è nella scena dell’inseguimento macchina-metropolitana che si raggiungono altissimi picchi di tensione: a velocità folle si fanno slalom tra passanti e semafori, con un forte effetto realistico amplificato dalla ripresa in soggettiva e dal fatto che si gira in mezzo al traffico di New York in diretta live.

William Friedkin non fa sconti in quanto a sangue e violenza: fa un primo piano ravvicinato sulle vittime di un incidente stradale, sottolinea i metodi poco ortodossi delle perquisizioni, riduce l’elemento femminile al decorativo e infrange più di una regola del noir classico dilatando i tempi dei pedinamenti, indugiando sulla misurazione della purezza della droga e sullo smontaggio pezzo per pezzo della Lincoln Continental in cui dovrebbe essere nascosta l’eroina. Il rumore di fondo della città, spesso in bassa frequenza, crea nausea e vertigine, scombinando i nodi della storia. Questo particolare rapporto uomo ambiente urbano sarà ripreso da Schrader (Hardcore, Lo spacciatore) e Scorsese (Taxi Driver) che ne amplificheranno le derive esistenziali e da Pakula (Tutti gli uomini del presidente), Pollack (I tre giorni del Condor) e Coppola (La conversazione) che ne sottolineeranno il delirio complottista.

Vincitore di 5 premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista a Gene Hackman, miglior montaggio a Jerry Greenberg e migliore sceneggiatura non originale a Ernest Tydman), Il braccio violento della legge è uno dei primi film di genere poliziesco a trattare del traffico internazionale di droga ed è unico nel mescolare l’estetica delle attrazioni con un taglio semi-documentaristico dilatato fino all’iperrealismo. Più si cerca di aderire al vero, più personaggi e sfondo sfuggono a qualsiasi classificazione, condannati a un perenne stato di agitazione psico-motoria. E il suono conclusivo non può che essere uno sparo nel buio, senza tiratore e senza bersaglio.

 

Titolo originale: The French Connection
Regia: William Friedkin
Interpreti: Gene Hackman, Roy Scheider, Fernando Rey, Marcel Bozzuffi, Tony Lo Bianco, Frédéric de Pasquale
Durata: 104′
Origine: USA, 1971
Genere: poliziesco

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.67 (6 voti)
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