Il sindaco del Rione Sanità, di Mario Martone

Martone alle prese con Eduardo. Incrocia i linguaggi e le espressioni, le volontà e i talenti. E rimane fedele alla sua idea di cinema multiforme, in progressione. In sala da oggi al 2 ottobre

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Ma chi è davvero Antonio Barracano in Il sindaco del Rione Sanità? Per Eduardo De Filippo non è certo un camorrista. Sì, è un uomo che ha ucciso, ha corrotto testimoni, ha acquisito un prestigio e un potere che è in grado di esercitare con la forza e la coercizione. Ma non mira a fini personali, alla ricchezza e al sopruso. Barracano non taglieggia e non schiaccia. Anzi… Barracano è uno che fa giustizia a modo suo, che protegge gli “ignoranti” dal sopruso istituzionalizzato, dall’arbitrio dei veri potenti, dei furbi che divorano la povera gente. E perciò prova a ristabilire gli equilibri sconvolti di un mondo irrimediabilmente “fuori sesto”. Time out of joint… Un vendicatore?

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E oggi? Martone sa benissimo che le condizioni sono cambiate, il mondo, il contesto, gli usi e i consumi… Sono mutati il linguaggio e la canzone, dalla fronna ’e limone al rap dell’inferno urbano, sono cambiati la realtà e l’immaginario della malavita, mentre la periferia e il centro si divorano a vicenda. Il caos è sempre più oscuro, mentre la legge continua a essere “buona” (davvero?). Sembra che Amleto sia diventato Macbeth. Il Barracano di Martone ha l’energia a fior di pelle di Francesco Di Leva, che è lontana anni luce dal fisico di Eduardo, scavato dal tempo. Si muove, si comporta e si atteggia come un boss contemporaneo, fa palestra di mattina, veste di lucido improbabile, vive in case pesantemente ammobiliate, tra le vetrate trasparenti e le tappezzerie di un antiquariato indefinibile, l’hi-tech elettronico e i lumini di devozione alle madonne in cornice. E tutti i personaggi che vanno a chiedere il suo consulto o il suo permesso, sembrano appena usciti dai meandri di una qualsiasi gomorra, dalle traiettorie di quei periferia movie che si girano intorno alle vele di Scampia fino ad arrivare, per reti di paranza sempre più strette, al cuore della Sanità. Non si distingue il bene e il male, la prepotenza dei cialtroni dall’autorità dei guappi, gli uomini d’onore dalle chiaviche. Mentre la visione di Eduardo, svelata dalla decisione del professor Della Ragione, sembrerebbe appartenere a un’altra epoca, nostalgicamente tramontata.

Ma attenzione. Avete parlato tutto sbagliato. Oggi come allora, Malavita non è una bestia feroce che azzanna a caso. Per Barracano di nuovo tene ragione ‘o cane. Ancora ci deve essere un modo per fermare la guerra, l’ingiustizia, il sangue e fare così il mondo un po’ più quadrato… In fondo, Barracano, oggi come allora, è fuori tempo. Semmai adesso lo scollamento è più nervoso, violento. Il senso delle sue parole, i gesti e le scelte entrano in collisione radicale con il mondo. E perciò appaiono sempre più come un’ossessione eretica, una tensione terribile in nome di un’apocalisse di liberazione, da realizzare chissà in quale tempo a venire. Un’ossessione assurda, ma forse necessaria. Al punto che stavolta il professore Della Ragione si guarda bene dal contraddire l’ultima volontà dell’amico. Constata il decesso e si attiene al dettato della sua legge. Chissà se per estrema desolazione o se per un ultimo sussulto di speranza.

Immaginiamo chi discuterà i nodi problematici dell’attualizzazione del testo e del confronto con Eduardo. E le probabili questioni estetiche su un film che sembra quasi voler azzerare i confini tra teatro, film, fiction. Ma il punto è un altro. Sta nella capacità di Martone di incrociare i linguaggi e le espressioni, le volontà e i talenti. Prende il rischio di un’altra frequenza, ma per rimanere fedele alla sua idea di cinema multiforme, in progressione. Sembra tornare al passato, ma in realtà guarda avanti, perché si affida ai ragazzi del Nest, che hanno trasformato una palestra di San Giovanni a Teduccio in un caparbio teatro di guerra, con uno spirito da vesuviani 2.0. Spirito di frontiera, che lambisce le mode della rappresentazione e dell’immaginario, ma le nega con l’irruzione “teatrale” della parola, con tutto il peso concreto, umanissimo di un’intonazione, una declamazione, un gesto. È come spaccare i vetri, la superficie liscia dell’immagine. Il punto è qui. Aprire il chiuso, ripensare la norma, il già visto e sentito, dare nuova linfa alla vita. Opporre il movimento alla morte, ciò che umano a ciò che non lo è. Rifare il mondo quadrato. Per poi, se non basta, rifarlo tondo. E poi quadrato…

 

Regia: Mario Martone
Interpreti: Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe Gaudino, Ernesto Mahieux
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 115′
Origine: Italia, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.75 (16 voti)
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    Un commento

    • Apprezzo moltissimo la recensione che evidenzia la distonia tra parola ed immagini scelta da Martone per attualizzare il classico eduardiano. Colgo l’occasione della visione del film per sottolineare le riprese del Palazzo Sanfelice al rione Sanità, oggi riportato in auge anche dalle stesse inquadrature di 5 è il numero perfetto di Igort, film molto originale girato nello stesso quartiere e che evidenzia le venature dark di una Napoli gotica e piovosa, quasi un Blade Runner partenopeo.