PORNMOD – Il fiume del porno al PostModernissimo di Perugia
In occasione di PORNMOD, la rassegna organizzata dal cinema PostModernissimo di Perugia, abbiamo incontrato il videoartista Edoardo Genzolini per parlare dell’importanza di questo linguaggio

C’erano una volta i cinema a luci rosse. Sale interamente dedicate a contenuti pornografici ed erotici, luoghi nei quali il godimento veniva irradiato dallo schermo per poi fluire, metaforicamente o meno, tra le poltroncine. Questo tipo di sala se non è in via d’estinzione è quantomeno specie protetta (sono pochissime le sale rimaste, tra cui il Nuovo Cinema Odeon di Modena, il cinema Corallo di Bologna e il Cinema Orfeo di Palermo) a causa anche della migrazione del porno nel digitale. I corpi si sono smaterializzati in pixel, cristallizzandosi in una massa inquantificabile di video, in un numero di forme il cui unico limite sembra l’occhio di chi guarda. Lo sguardo (o anche intere parti del corpo, considerando lo sviluppo delle tecnologie del sesso) viene intercettato, le dita si muovono sullo schermo inseguendo il Bianconiglio di desiderio in desiderio, di video in video. Fino all’estremo piacere, un’esplosione biochimica che riprogramma il cervello.
Il porno rimane, così, uno dei generi centrali della contemporaneità audiovisiva. PORNMOD, rassegna organizzata dal cinema PostModernissimo di Perugia, consente al porno di riprendersi il centro della sala. Quattro serate che portano sul grande schermo visioni eccentriche del genere capaci di esplorarne diverse declinazioni, dal documentario sulle sue tecniche e i suoi interpreti (I fantasmi del fallo, 1981, di Belmonti, Miscuglio, Daopoulo; Io sono Valentina Nappi – ISVN, 2018, di Monica Stambrini) all’interpretazione autoriali (La cugina del prete, 1975, di Wes Craven).
Nella serata del 22 settembre, curata da Trascendanza e chiamata Variazioni sul porno – Un’immersione nell’apocalisse del porno, ha inoltre incluso ulteriori approcci. Appena attraversato l’ingresso sotto l’arco di via del Carmine, il foyer del cinema si presenta tappezzato di immagini di corpi, di membra che si attorcigliano e si intrecciano con grazia sovrannaturale. È la serie Anche le Macchine Desiderano, composta da Tremila con l’ausilio di AI, sfidando a colpi di prompt l’imposizione a non creare immagini sessualizzabili. Scendendo delle scalette (dopo essersi tolti le scarpe) si può ridiscendere nella Placenta Collettiva, installazione realizzata da Myriam Carmignani. In sala, ci si può, invece, far circuire da Delizia sonica, il sound collage di Pietro Secchi, o sottoporsi a un ciclo di irradiazione pornografica con Simulacra et simulation, estrema performance audiovisuale in diretta di Frgmnts, Simon Oak ed Edoardo Brunelli con le immagini (ancora una volta realizzate con l’AI) da Placenta Shake.
In sala Visconti, infine, va in onda un loop. Su un tappeto visivo dai colori morbidi, con un sentore vaporwave, vaghe forme umane si sovrappongono come vapori. Una voce viene rallentata fino a mandare fuori giri i suoi versi di piacere. Il flusso aumenta pian piano la sua portata, mentre una scritta incompleta appare ogni tanto sullo schermo. Poco prima che si componga il titolo A(ga)pocalypse Now, diventa riconoscibile una tronco femminile in un atto di auto-erotismo. Solo per un attimo, prima di tuffarsi nuovamente nel flusso. Abbiamo, quindi, scambiato due chiacchiere con l’autore di A(ga)pocalypse Now, Edoardo Genzolini.
Com’è nata l’idea di un’installazione sul porno?
Innanzitutto, credo che in questi tempi una rassegna come PornMod, per ragionare sulle contraddizioni che si accalcano attorno al concetto di porno. A(ga)pocalypse nasce da una commissione da parte di Alessio Giovagnoni di Trascendanza. Sapeva che sono un appassionato sia del genere, sia di found footage e che sono un accumulatore seriale di immagini, un imagofago. La mia esperienza di visione nasce quando avevo 11 anni e guardavo Fuori Orario, al quale mi sono esposto quasi per caso o per destino. Accumulavo non soltanto film, ma immagini in generale dai programmi di terza serata. Qui in Umbria c’era UmbriaTV, Odeon, ReteSole che era nazionale… e io registravo e registravo e registravo. Ho conservato anche con una certa pudicizia alcune videocassette. Fino a quando Alessio mi ha chiesto di farci qualcosa. Qualsiasi cosa. Ci siamo quindi resi conto che la rispettiva visione si intersecava, si armonizzava. Prima di vedere certi pannelli, affissi qui al PostModernissimo, avevamo fatto questo montaggio che si può tranquillamente sovrapporre all’idea dell’IA applicata all’immagine dei corpi. Mi interessava quest’idea di oscenità, nel senso di qualcosa di fuori scena. Quindi, mi sono chiesto come far vedere qualcosa di pornografico senza scadere nel più prevedibili dei dibattiti, quindi verso la censura.
Da cosa nasce l’impulso a preservare tutto questo materiale?
Per me è stato qualcosa di intuitivo, non c’era una differenza tra alto e basso, tra valido e meno valido. L’immagine in sé era molto più pregnante e soddisfacente di ciò in cui era inserita. Ecco, escludendo qualsiasi tipo di giudizio, il porno sembra un esempio di cinema totale, ci pervade, il suo linguaggio ci attraversa continuamente. Siamo circondati da immagini di sesso e sul sesso, è il rimosso del desiderio a cui va data voce, che va sfogato per non farlo riemergere lateralmente e in dinamiche più pericolose.
Come hai lavorato sui materiali?
Ho montato tutto in un giorno, un giorno e mezzo. Questo credo voglia dire che il progetto era già presente nell’anticamera della mia volontà.
Anche quando si accetta la visione di una scena più spinta, più esplicita, si utilizza spesso il termine porno in senso dispregiativo, al contrario di erotico. Che ne pensi? Qual è la tua definizione di porno?
Per me è legato a ciò che non si vede, qualcosa di sfuggente. C’è Carmelo Bene che ragionava sul desiderio che desidera sé stesso, quindi un desiderio circolare, in parte vuoto. Pensando alla mia esperienza, la pornografia è stata per me un territorio franco, libero e in un certo senso sicuro. Poteva essere esclusivamente mio, preservato da commenti, da giudizi, senza che ci fosse l’obbligo di raccontarlo a qualcuno. Comunque, è interessante il fatto che sia molto difficile da definire.
Cosa ci dice il porno sul desiderio e sul futuro del desiderio?
In qualche modo il porno anticipa il desiderio, vuole dargli delle coordinate. All’interno della pornografia il desiderio è annullato proprio da queste ultime, che vengono predisposte per favorire l’automatismo. Come se dicessero: “Tu in questo momento dovresti sentire questa cosa”. Questo è vero soprattutto per la pornografia contemporanea, profondamente diversa da quella degli anni ’70, quando aveva ben altro ruolo.
C’è una cognizione storica all’interno del genere?
Quando faccio i miei film, cerco sempre di considerare sempre il punto di vista dello spettatore. È in quanto tale ti posso parlare del genere. Mi sembra che il genere, in passato, fosse molto più consapevole della sua pervasività, della sua capillarità. Ora è puro intrattenimento. Quindi non penso proprio che gli autori di oggi cerchino altro rispetto al fatto di alimentare una macchina che già funziona. Il porno è una macchina che si auto-alimenta, non avrebbe nemmeno bisogno di nuove immagini. Fondamentalmente, non gli si aggiunge nulla di nuovo. Questo trasmette una certa sicurezza anche agli spettatori, che oggi sembrano più a loro agio quando conoscono o hanno familiarizzato già con la struttura davanti a loro. Quindi, direi che nella pornografia di oggi non c’è ricerca, c’è la voglia di ritrovare ciò che già si sa. Quasi che si volesse rassicurare lo spettatore.
Nel corso del tempo, il porno ci ha abituati all’idea del godimento mediato dallo schermo. Allo stesso tempo, la distanza tra i corpi si è accentuata. Secondo te, è il successo o il fallimento della rivoluzione del porno?
Certi linguaggi prendono vita propria, si scollano completamente dall’intenzione originaria, per essere ripresi da altri sentimenti e altre intenzioni. Si massificano, anche perché sempre più persone li utilizzano per esprimersi. Il porno nasce inizialmente come reazione, come diversivo rispetto ad alcune convenzioni sociali. Nasce anzitutto come una cesura.
In A(ga)pocalypse, le immagini dei corpi vengono sovrapposti fino al punto di renderli irriconoscibili nel flusso, i versi di piacere vengono stretchati fino alla smaterializzazione. Che ne pensi della tendenza all’astrattismo del genere?
Il porno è un territorio molto pericoloso. Piattaforme come OnlyFans in qualche modo promuovono una forma di autorealizzazione di sé. Mi sembra però che la pornografia venga così caricata di significati che forse non vuole nemmeno avere. La responsabilizzano, le danno valori. La pornografia però mi sembra che nasca e voglia essere proprio un territorio franco, il luogo del de-pensamento e della libertà da qualsiasi vincolo, compresa la morale. Non è immorale, semmai a-morale. Ecco, parlandone in parte mi vergogno e in parte mi libero dicendo che per me il porno è stato in qualche modo una risposta in un periodo in cui sapevo che fuori un’altra non ce n’era. Era un gettarsi alla vita a nervi scoperti. Un perdersi. In questo non è stata un insegnamento, una risposta logica, quanto piuttosto una sensazione alla quale è seguita una rielaborazione. È importante non scambiare il porno per normalità. Non saprei, però, se concordare con le posizioni recentemente espresse da Rocco Siffredi. Posso dire che se non avessi avuto accesso ai porno a 13 o 14 anni, forse ora non sarei qui a parlarne con tranquillità.
Il porno sembra presentarsi come pura superficie e allo stesso tempo suggerisce l’esistenza di qualcos’altro.
Il porno resiste alle cuciture, passa attraverso le maglie con le quali lo si vorrebbe relegare. È una forma di desiderio, che forse gli antichi realizzavano con molta più facilità. Mi sembra quasi che sia espressione di una parte che noi occidentali abbiamo represso e che, inevitabilmente, è venuta e sta venendo fuori. Somiglia a un organismo o a un ecosistema, che esploriamo in virtù della nostra curiosità. Di solito, nel dibattito mainstream non si condanna direttamente la pornografia, quanto la curiosità dello spettatore. Curiosità, però, vuol dire anche prendersi cura di sé. È quindi chiaro che ci sia un tentativo inconscio di ottemperare a un’esigenza, quella di entrare in contatto con un certo di rimosso.
Sembra, da questo punto di vista, la forma d’arte che più di tutte realizza lo spirito capitalista.
Forse perché è la forma d’espressione più fragile, soggetta a manovre e manipolazioni. È un genere fragilissimo, che si fonda su terreni psicologici incerti, intimi. Sono sempre stato affascinato dai primissimi attori porno, degli anni ’20 e ’30. Chi sono e dove sono finiti quegli interpreti? Questa dimensione effimera viene colta immediatamente sia dal cinema che dal porno. Pensiamo per esempio all’uscita dalla fabbrica filmata dai Fratelli Lumiere. Questo è uno degli aspetti più interessanti. Il confronto con questa possibilità dell’oblio che inizialmente non accettavo è stato uno degli impulsi che mi ha portato ad accumulare materiali d’archivio. Non volevo dimenticare le cose che guardavo in televisione, anche se chi intorno a me diceva che erano senza valore. Ecco, per me avevano tutte pari dignità in quanto immagine. Era qualcosa che sfuggiva.
Il tuo film in questo senso è una doppia operazione: da una parte recupera materiale dall’archivio, dall’altro lo rigetta nell’oblio della ricombinazione forsennata.
Il non rendere riconoscibili i materiali è un’operazione artistica ed estetica, una sfida verso me stesso nei confronti del trattamento dell’oscenità. Come rendere visibile qualcosa di osceno, qualcosa che cerca costantemente di fuggire dalla visione? Avevo 4 VHS (il nastro magnetico lo trovo il supporto più adatto al flusso del porno), che ho sovrapposto e spanciato fino a rendere irriconoscibile qualcosa di inequivocabile. All’inizio volevo che fosse un processo spontaneo. Quando però ho visto che alcune immagini rimanevano troppo esplicite, quindi ho cominciato a lavorare in quel senso. Così il montaggio è diventato qualcosa di iper-controllato, anche se non volevo che lo fosse. Nonostante tutto, però, una sequenza di auto-erotismo, una delle poche a rimanere riconoscibile, è sfuggita al controllo. Il porno è un fiume in piena che straborda, che lo si voglia o no. In questo è più forte del cinema.