RoFF18 – Fingernails. Intervista esclusiva a Christos Nikou

In occasione della presentazione di Fingernails alla Festa del Cinema di Roma, abbiamo incontrato il regista greco, che ci ha parlato del suo debutto in lingua inglese. Il resoconto dell’intervista

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In occasione della presentazione di Fingernails alla 18ª edizione della Festa del Cinema di Roma, abbiamo incontrato il regista greco Christos Nikou, che ci ha parlato del suo ultimo film, dell’importanza di riflettere sulla società attraverso le narrazioni allegoriche, offrendoci anche un ragionamento sulle dinamiche industriali che portano sempre più registi europei ad abbandonare i rispettivi contesti nazionali, per trovare maggiore libertà creativa e d’espressione negli orizzonti hollywoodiani. Da questo punto di vista Fingernails, che segna il debutto in lingua inglese del cineasta, appare come una sintesi ideale del suo stile. Soprattutto per quel che riguarda i temi che il regista desidera comunicare al pubblico attraverso i suoi mondi distopici.

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Partiamo proprio da qui. Le tue storie ruotano sempre attorno ad un mondo alternativo, distopico, che compromette l’integrità psicofisica – o come nel caso di Fingernails, emotiva – dell’individuo ad un punto tale che il suo spazio personale viene completamente violato dalle regole del sistema in cui è calato. Secondo te, qual è la reale funzione alla base di questi mondi distopici? Perché a me sembra che nel tuo cinema, in linea con le realtà totalitariste concepite da Bradbury o Orwell, la distopia sia qui usata per ammonire sui pericoli in cui rischiano di incorrere tutte le società più apertamente conformiste. Sei d’accordo con questa lettura?

Si, assolutamente. Durante la preparazione del film, ad esempio, ho letto ripetutamente Orwell per cercare di comprendere al meglio le cose che ci circondano e che fondano la realtà in cui viviamo. Per quanto riguarda la distopia, io preferisco intendere le mie storie come narrazioni allegoriche più che distopiche: i film che ho realizzato sono infatti delle allegorie della nostra vita, calata ormai all’interno di una società spaventosa, che in parte mi intimorisce. In questo modo, attraverso l’approccio allegorico, cerco di ragionare su come la relazione tra la tecnologia e l’amore sta cambiando in profondità la percezione che abbiamo dei nostri sentimenti.

 

Non appena ho finito di vedere Fingernails, ho avuto la sensazione che fosse la prosecuzione naturale, ma ancora più nichilista, del tuo film precedente. Se ci pensiamo, rispetto agli aridi mondi di Apples, che naturalmente riflettevano lo stato “amnesico” in cui tutti noi eravamo confinati durante la pandemia, la società in cui vive Anna (Jessie Buckley) appare ancora più opprimente e soffocante, come se il tuo cinema, andando avanti, rispecchiasse una visione progressivamente più negativa del mondo. Credi perciò che la società occidentale stia perdendo sempre più interesse nei confronti dell’individuo e dei suoi valori etico/morali?

Si, la penso proprio così. Se ci fai caso in entrambi i film, e in particolar modo in Fingernails, non c’è nessun personaggio che possa essere considerato un “antagonista” o un esempio negativo. L’unico “villain” presente in queste narrazioni è la società, che ci costringe ad assumere atteggiamenti generici, diabolicamente omologati, che hanno il risultato di portare l’individuo a perdere la propria individualità. Per colpa della società, stiamo diventando non semplicemente dei robot, ma degli esseri che vivono in un modo sempre più meccanico, costretti ad abbandonare forzatamente alcune emozioni. Quindi si, è proprio questo che ho cercato di comunicare in entrambi i miei film.

 

Questo ci porta ad un’altra questione, relativa ai tuoi esordi. In passato hai infatti lavorato come aiuto regista di Lanthimos in Dogtooth. E a me sembra che il cinismo sferzante che attraversa trasversalmente il mondo di Fingernails – oltre alla predisposizione delle sue istituzioni a controllare la sfera sentimentale del cittadino – siano parzialmente mutuate da un altro film di Lanthimos, cioè The Lobster. Quanto questo film ti ha ispirato nel definire l’universo allegorico di Fingernails?

Se devo essere onesto, non mi sono ispirato a The Lobster. Per quanto lo abbia apprezzato, io credo che opere come Se mi lasci ti cancello o The Truman Show abbiano influenzato molto di più il modo in cui ho creato il mondo del film. Alla fine entrambe le opere parlano d’amore, che per me equivale all’analisi delle relazioni sentimentali, ma lo fanno a mio avviso secondo una prospettiva differente.

 

C’è però un altro elemento che accomuna Fingernails a The Lobster, ed è di natura produttiva: entrambi infatti segnano il debutto in lingua inglese di un regista greco. Pensi che il grande successo del film abbia convinto sempre più produttori hollywoodiani ad investire su una nuova generazione di cineasti ellenici?

Sinceramente, non ho una chiara idea a riguardo. Sicuramente questa transizione non si è verificata nell’immediato, dal momento che The Lobster è uscito ormai 8 anni fa e i risultati si sarebbero dovuti vedere già in maniera considerevole. Però ha sicuramente gettato luce sul lavoro di molti filmmaker greci, i cui film stanno acquisendo sempre maggiore visibilità agli occhi dei produttori internazionali, anche grazie all’esposizione che i festival cinematografici stanno assicurando loro nell’ultimo periodo. Ma al tempo stesso bisogna comunque considerare che non sono stati molti i registi che hanno avuto la possibilità di fare questo specifico salto di paradigma.

 

Da questo punto di vista, ti consideri un outsider o una sorta di “anomalia” nel panorama cinematografico della Grecia?

In realtà non mi considero un “greco”, ma un essere umano. La verità è che mi è semplicemente capitato di nascere e crescere in Grecia. E già da tempo, a differenza di alcuni colleghi, cercavo di liberarmi dalle costrizioni economiche dell’industria greca e realizzare un film internazionale con un budget più ampio che mi consentisse di sognare in grande. Inoltre le mie storie hanno un registro perlopiù universale, e anche per questo motivo preferisco realizzare film in lingua inglese.

 

Questo salto di paradigma è stato possibile grazie all’intervento di Cate Blanchett, che figura tra i produttori del film. Come è nata la vostra collaborazione?

L’ho incontrata per la prima volta a Venezia nel 2020, in occasione della presentazione del mio primo film nella sezione Orizzonti. Da lì abbiamo iniziato a discutere di un possibile progetto futuro, ma anche di questioni più ampie relative alla vita. A quel punto mi ha chiesto se fossi interessato a farmi produrre un film da lei, e così è nato Fingernails. È stato tutto piuttosto veloce.

Per quanto riguarda il futuro prossimo, hai già in cantiere un nuovo progetto?

Si, siamo in una fase decisamente iniziale, ma posso dire che il film seguirà un gruppo di comparse che lavorano ad una serie di opere molto famose degli anni ’80. Parlerà di esistenza e di come queste persone cerchino di essere protagoniste nelle loro vite, anche in faccia alla loro natura di “comparse”.

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