#TFF37 – Incontro con Corneliu Porumboiu e Catrinel Marlon per La Gomera

Il regista rumeno Corneliu Porumboiu racconta i retroscena del suo ultimo originale neo-noir postmoderno, fatto di suspence e di colpi di scena, dove i malviventi imparano a fischiare per farla franca

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Il thriller/giallo La Gomera – The Whistlers, scritto e diretto da Corneliu Porumboiu, è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2019 e partecipa al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile.

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Incontriamo il regista e l’attrice protagonista, Catrinel Marlon, ex modella di origini rumene, che sfoggia un sorriso delicato e un ottimo italiano. «Due anni fa mi è arrivata la richiesta per questo cast in un film rumeno e onestamente avevo un po’ paura di non farcela a parlare, a recitare in una lingua che posso dire non mi appartiene più, perché un conto è parlare con i familiari e un conto è recitare». Nel film veste i panni della diabolica e sexy Gilda, ricoprendo l’immancabile ruolo della femme fatale in questo neo-noir postmoderno (soprattutto per le variegata scelta musicale, a seconda del mood, dall’iniziale The Passenger al ricorrente repertorio operistico). «È stata una bella provocazione, un bel ruolo». Chiaro il riferimento, come esplicato dal regista, nel nome e nell’ispirazione del personaggio, alla Gilda interpretata da Rita Hayworth nel film di Charles Vidor del 1946. «Ho provato a prestare un po’ della sua eleganza al mio personaggio», afferma Catrinel Marlon.

La componente cinefila, tanto cara a Porumboiu, emerge in diversi momenti del film (spassoso il siparietto comico del sopralluogo dello sfortunato regista nel capannone industriale, covo dei malviventi; accattivante la scelta dell’ambientazione del set cinematografico abbandonato durante lo showdown finale), oltre che nella resa dei personaggi, che spesso sono costretti a mentire e “interpretare una parte” per raggiungere i propri scopi e poter sopravvivere. Anche il dispositivo di ripresa, solitamente appartenente all’esperienza cinematografica, viene qui strumentalizzato per spiare e controllare i personaggi nei loro momenti privati, in una rete intricata di relazioni doppiogiochiste.

Gli ulteriori elementi che concorrono a definire il genere noir, qui sperimentato in via eccezionale dal regista della “Nouvelle Vague rumena”, sono la presenza di loschi traffici e di droga, di malviventi e di soldi, di piani diabolici e di intrecci complessi, di poliziotti corrotti e di tradimenti, di spettacolari sparatorie e di pedinamenti notturni.

«Inizialmente ho immaginato una serie di personaggi che sono tutti di fatto dei traditori,  pronti a tradire quello in cui apparentemente sembrano credere, che utilizzano l’apprendimento di questa lingua dei fischi allo scopo di mettere le mani sui soldi; quindi sostanzialmente una struttura classica del noir».

Porumboiu guarda dunque ai grandi classici, primo tra tutti Il grande sonno (1946) di Howard Hawks, rispolverando la tradizione americana con toni nostalgici, mantenendo un’impostazione narrativa semplice, inframmezzata da flashback e colpi di scena, riuscendo comunque a iniettare una nuova linfa grazie all’introduzione di un elemento peculiare.

Si tratta del linguaggio “silbo gomero”, scoperto per caso dal regista circa dieci anni fa in un documentario televisivo: costituito interamente da fischi, utilizzato in passato dai pastori per comunicare a grandi distanze, viene immaginato nella narrazione come appannaggio esclusivo dei malavitosi legati allo spaccio di droga, allo scopo di stabilire un contatto senza farsi scoprire dalla polizia. Questa lingua, diventata dal 2009 patrimonio orale e immateriale protetto dall’UNESCO, è tipica del luogo in cui si ambienta la vicenda e che dà il titolo al film, La Gomera, isola dell’arcipelago spagnolo delle Canarie.

Non è un caso che in tutta la filmografia di Porumboiu (A Est di Bucarest, 2006; Polițist, Adjectiv, 2009, Il tesoro ,2015) ricorra come cifra distintiva, «quasi come un’ossessione», a detta stessa del regista, la riflessione sul linguaggio e sulla manipolazione che può avvenire tramite di esso, nell’intento di conciliare il lato divertente, popolare e la riflessione teorica approfondita. Dopo le numerose ricerche, Porumboiu è volato sull’isola in cui ancora si insegna ai ragazzi delle scuole a fischiare per apprendere (con difficoltà) i segreti di quest’arte: «Ho provato anch’io a imparare il linguaggio dei fischi, ma a quanto pare non sono intelligente quanto i miei attori» (ride). I membri del cast sono stati infatti sottoposti a due intense settimane di preparazione a Bucarest, con allenamenti di otto ore al giorno, fatti di sputi, di pianti e persino di svenimenti; successivamente, il training è continuato per quattro o cinque mesi su skype, a distanza, fino a raggiungere risultati degni di nota (il labiale, anche nell’ottica del doppiaggio, avrebbe tradito un’impostazione sbagliata da parte degli attori). Un’interessante dimostrazione di quanto appreso viene data prontamente dalla bellissima Catrinel Marlon, che congeda il pubblico della conferenza, divertito, fischiando un ormai distinguibile «Grazie Torino!».

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