The Killer, di David Fincher

Un thriller elegante e algido che, dopo una grande partenza, finisce per essere ripetitivo. Non è una mezza delusione, però stavolta i dubbi convivono con le certezze. VENEZIA80. Concorso.

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I demoni senza gli dei del cinema di David Fincher. A tre anni dagli straordinari ‘vampiri del cinema’ di Mank, il cineasta statunitense dirige il suo secondo film consecutivo su Netflix adattando la graphic novel omonima di Alexis “Matz” Nolent illustrata da Luc Jacamon. Michael Fassbender è un killer che sembra una macchina perfetta. Calcola tutti i dettagli, le variabili, le statistiche prima di eseguire gli omicidi su commissione. “Se non sopporti la noia, questo lavoro non fa per te”. Suddiviso in sei capitoli più un epilogo, The Killer comincia in una Parigi polanskiana dove il protagonista si trova in un edificio-cantiere che si trova difronte alla finestra dell’uomo che deve far fuori. Ma qualcosa va storto. Da quel momento inizia una guerra personale senza esclusione di colpi dove il killer cerca di risalire al proprio committente.

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Comincia della metropoli francese e poi si sposta tra la Repubblica Dominicana (il suo rifugio), New Orleans, la Florida, New York e Chicago. La fotografia di Erik Messerschmidt cattura i riflessi di un thriller elegante ed algido dove Fincher esibisce un’altra grande lezione di regia al servizio della storia e di un corpo post cyborg come quello di Fassbender che potrebbe morire e reincarnarsi in ogni capitolo. Come nel personaggio del killer, c’è sempre uno scarto nel cinema di Fincher tra una precisione ‘kubrickiana’ e l’imprevisto. Quando il secondo elemento prevale sul primo, in una perdita di controllo che è sicuramente più simulata che reale, nascono le straordinarie derive di Il curioso caso di Benjamin Button e The Social Network. In The Killer invece tutto il talento registico di Fincher è evidente, sottolineato, in un meccanismo meno soffocante di L’amore bugiardo. Gone Girl ma comunque ripetitivo. Lo è, per esempio, nell’estensione di una voce fuori-campo dove inizialmente si entra nella testa del protagonista ma poi diventa puro flusso di coscienza, sicuramente esemplare ma anche insistito. In The Killer Fincher incrocia le strade di molti suoi punti di riferimento cinematografici, dal voyerismo hitchcockiano iniziale segnato dall’osservazione (anche dalla scelta dello spazio cinematografico) e dall’attesa alla fuga in motorino del killer che richiama il cinema di Friedkin per come fa avvertire l’agitazione interiore del protagonista nel respiro affannato e nei gesti non calcolati.

The Killer parte alla grande e regge benissimo fino all’arrivo al primo aeroporto. Poi gioca sempre d’anticipo sull’inquadratura successiva, anticipa l’esito delle azioni come nel momento in cui il killer si traveste da netturbino in una scena dalla precisione ‘alla De Palma’ (quando incontra il corriere della FedEx) che è ancora (si) una grande lezione di regia nel modo di filmare la maschera e l’inganno. Ma, nel replicare le traiettorie, le apparizioni (l’arrivo di Fassbender con la pistola sul tavolo), e ancora nell’esigenza primaria di mantenere costante la tensione, toglie però fascino come nel caso dell’assolo al ristorante di Tilda Swinton. Nella scansione dei diversi capitoli, The Killer è uno spartito già scritto, solo ravvivato dalla gran bella colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross. Nel film si avverte sempre una distanza tra la violenza fisica e mentale, spesso invece così inscindibili nel miglior cinema del regista statunitense. Solo nel momento della fuga del killer dal pitbull si ritrova davvero Fincher. Forse è esagerato parlare di mezza delusione. Però stavolta i dubbi convivono con le certezze. The Killer è un film del genere ma spogliato. Gli mancano gli dei, quelli che si possono appropriare da un momento all’altro dei corpi e farli volare, come è avvenuto con Brad Pitt ed Edward Norton in Fight Club. Fassbender invece resta da solo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
2.8 (20 voti)
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