Following, di Christopher Nolan

Esce per la prima volta nelle sale italiane l’opera prima del regista che è un compendio delle traiettorie del suo cinema, tra non linearità e frammentarietà dell’io

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Ha un che di romantico risalire il fiume per visitarne la sorgente. Riavvolgere il filo, procedere a ritroso lungo il sentiero tracciato e ritrovarsi all’origine, all’ingresso del labirinto. Ragionare di Following, opera prima di Christopher Nolan datata 1998, significa allora varcare nuovamente quella soglia; per scrutare la genesi della sua carriera che nel corso degli ultimi venticinque anni ha tentato di coniugare dimensione labirintica e cinematografia con innegabile coerenza e disperata ostinazione.

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Nel breve racconto del giovane Bill, nella parabola di un aspirante scrittore incastrato dal raffinato doppiogiochismo di un ladro professionista, si legge infatti già a chiare lettere la dichiarazione di intenti d’una poetica votata sin dagli albori a una scomposizione organica del materiale narrativo; a una non linearità che, di lì a qualche anno, avrebbe conosciuto declinazioni plurime e differenti. Una poetica audace, fortemente identitaria, scivolata però talvolta nell’ossessiva ricerca della forma; nonché nella creazione di inestricabili e claustrofobici dedali di intellettualismi onanistici.

Anni prima di imbarcarsi a bordo dell’Endurance, smarrirsi nelle stratificazioni del subconscio e vagabondare per le strade di Gotham City, Cristopher Nolan tatuava così sulla pelle di Following le traiettorie del suo cinema futuro; disseminando qua e là easter egg divinatori (l’adesivo di Batman sulla porta di casa del protagonista, le istantanee, il nome Cobb) e modellando a sua immagine il protagonista Bill, variante sul tema del “doppione” hitchcockiano – con femme fatale al seguito – e interprete zavattiniano intrappolato dalle maglie di una rete di sotterfugi meticolosamente predisposta dall’amico/nemico Cobb. Così che pedinamenti e buchi di serratura, lungi dallo spalancare finestre sul reale, aprissero la strada a un thriller/noir consapevole, a un grezzo intrigo domestico di ispirazione classica già pienamente inquadrato nella visione di controllo del suo autore e nella sua calcolata vocazione al coup de théâtre.

“Nascondere e mostrare sono due lati della stessa medaglia” insegna Cobb al neofita Bill. E nell’opera/profezia Following, nella sua ambiguità, nella suo bianco e nero a budget ridotto e nella sua intricata gestione degli spazi (interni ed esterni londinesi) si delinea una prima riflessione del regista su di una frammentarietà dell’io costantemente indagata e restituita attraverso macchina da presa e sua post-manipolazione. Insieme forse a quel pizzico di umanesimo di cui la produzione nolaniana, salvo rare eccezioni (Batman Begins), si è sempre dimostrata carente.

Osservare e ragionare di Following oggi, in concomitanza con la distribuzione in sala di Oppenheimer, significa dunque viaggiare indietro nel tempo, invertire volontariamente la nostra entropia per catapultarci al principio. Dall’apocalisse nucleare all’atto di creazione; dall’esplosione della bomba al personale Big Bang artistico del regista. A quel terreno già doviziosamente seminato, i cui frutti, alternamente giudicati germogli e zizzania, hanno comunque saputo lasciare più di un segno visibile; nel modo di fare, intendere e accostarsi al cinema della postmodernità.

 

Titolo originale: id.
Regia: Christopher Nolan
Interpreti: Jeremy Theobald, Alex Haw, Lucy Russell, John Nolan, Dick Bradsell, Gillian El-Kadi, Jennifer Angel, Nicolas Carlotti, Darren Ormandy
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 70′
Origine: UK 1998

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
Sending
Il voto dei lettori
4.25 (4 voti)
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