Il sapore della felicità, di Slony Sow

Indeciso tra l’abbondanza d’osteria e l’impiattamento glamour di un ristorante Michelin, il “kitchen movie” di Sow esagera con le portate/linee narrative ma lesina in gusto. Con un Depardieu glicemico

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

La ricetta di tanti kitchen movie, girati a latitudini vicine o lontane da quella che i nazionalisti alimentari (esistono purtroppo anche questi) imbastiscono come la cucina migliore del mondo, consente poche variazioni rispetto ad una norma che negli anni si è fatta sempre meno spontanea: protagonisti problematici solitamente trovano la causa e l’uscita dai loro malesseri in mezzo a fornelli più terapeutici delle stantie sedute dallo psicologo. Pochi sono i tentativi di haute causine cinematografica di uscire da questo prevedibile equilibrio di sapori che continua però ad essere apprezzato da un pubblico/clientela che si fa suggestionare dall’eleganza dell’impiattamento.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Il sapore della felicità, in questo senso, si mostra quasi scientifico nella sua volontà di servire piatti accattivanti e glocalmente riconoscibili perché ad un antipasto prelibato – la voce fuori campo in giapponese che racconta la propria collaterale vicenda -, segue un robusto primo – la crisi fisica e morale dell’arrogante chef pluristellato Michelin -, poi un esotico secondo – il viaggio in Giappone alla ricerca dell’unico rivale in grado di batterlo quarant’anni prima con una semplice scodella di noodles – ed infine un rinfrescante dessert – la chiusura fiabesca di tutti i subplot aperti.

L’esordio sul lungometraggio del produttore Slony Sow vuole essere una parabola costruttiva ed escapista in cui al tirannico protagonista, interpretato da un altrettanto umorale Gérard Depardieu capace sia di donare l’ennesimo nudo del suo corpo espanso sia di recitare bene o male a seconda del ghiribizzo di giornata sul set. Basta una fuga nel gentile Oriente per, in ordine, riallacciare i rapporti con la moglie fedifraga, accettare il primogenito come discepolo in cucina, dare una chiusa amorosa alle intemperanze eco-ambientali e personali del secondogenito, salvare il suo ristorante da un’influencer (!) e, per soprammercato, scoprire la filosofia dell’umami, il misterioso quinto sapore che in Giappone si creda esista dopo l’amaro, il dolce, il salato e l’acido.

Così, nonostante l’agrodolce intingolo di dramma e commedia in cui viene affogata la sceneggiatura, Il sapore della felicità ha in realtà la stessa pavidità del primo giorno da chef di Jean Carvin, il figlio del protagonista che messo improvvidamente a conduzione della cucina lasciata senza guida dall’infarto del padre, replica con poca originalità e ancor meno coraggio le ricette del preclaro genitore. Come in un ristorante stellato e nonostante i 105 minuti di durata, si esce dal film con ancor più fame di cinema di quando si era entrati.

 

Titolo originale: Umami
Regia: Slony Sow
Interpreti: Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Pierre Richard, Rod Paradot, Sandrine Bonnaire, Eriko Takeda, Akira Emoto, Bastien Bouillon, Zinedine Soualem, Sumire, Kyôko Koizumi, Antoine Duléry, Francis Ressort, Assa Sylla
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 105′
Origine: Francia, Giappone 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array