L’esorcista, di William Friedkin
Dall’omonimo romanzo di William Peter Blatty, uno dei migliori horror di sempre influenzato dal Surrealismo che indaga il sottile confine tra il bene e il male. Da oggi in sala in versione restaurata
La presenza del male nella nostra realtà quotidiana e il conflitto tra fede e ragione che divide l’uomo contemporaneo. L’esorcista di William Friedkin è stato giudicato tra i migliori horror di sempre proprio perché supera il genere di appartenenza contaminandolo con quesiti esistenziali da sempre irrisolti. Ma è davvero un horror? Qualcuno lo definisce un thriller teologico, qualcun altro una detective story che indaga sul soprannaturale o un noir filosofico con aspetti metafisici. Al di là delle definizioni che non lo contengono, L’esorcista è un oggetto ingombrante che opera una rivoluzione agendo dall’interno, facendo confluire tutti gli elementi della grammatica filmica allo scopo di mostrare una rappresentazione “realistica” di una possessione demoniaca con conseguente esorcismo. Non c’è un fuoricampo, un perturbante lasciato ai lati dell’inquadratura, una ellissi del visibile. Rispetto a Rosemary’s Baby (1968), il suono, il montaggio, gli effetti speciali, la fotografia, le inquadrature sono tese a mostrare l’orrore in tutte le sue manifestazioni. Cinematograficamente è un film seminale perché oltrepassa quelli che nel 1973 erano i limiti di una rappresentazione frontale e traccia nuove forme di un linguaggio visivo espressionista.
L’omonimo libro di William Peter Blatty si basa su un fatto realmente accaduto nel 1949 nel Maryland a un ragazzino di 14 anni. La prima versione della sceneggiatura di Blatty non piacque a William Friedkin. La visione del cattolico Blatty tendeva a valorizzare il ruolo della fede all’interno di un percorso che passava per i limiti della scienza medica incapace di comprendere eventi francamente inspiegabili. William Friedkin voleva evitare “spiegoni” teologici e sottolineare l’effetto della possessione demoniaca su una famiglia non credente e sugli uomini di Chiesa. Per fare questo insisteva molto sulla dicotomia luce/oscurità ed interno/esterno fino a racchiudere l’inferno in una stanza. La luce abbagliante degli ampi spazi asiatici in contrasto con il buio/freddo glaciale della claustrofobica cameretta di Regan. Non vi erano accenni al Watergate o al Vietnam né metafore sociali o psicoanalitiche. Friedkin voleva evidenziare la persistenza del male attraverso i secoli (la statuetta del Demone Pazazu, il simbolo della moneta) e il prologo in Iraq venne dilatato proprio per stabilire una forte connessione tra le reliquie del passato e il precipitare degli eventi nel presente. Regan (Linda Blair) è una bambina di 12 anni di Georgetown che giocando con la tavola Ouija evoca il demone Pazazu. La madre Chris (Ellen Burstyn) di professione attrice, atea e con marito assente, cerca di dare una spiegazione neuropsichiatrica ai cambiamenti di umore e corporei della giovane. Alla fine si arrende all’evidenza e chiama l’esorcista padre Lankester Merrin (Max Von Sydow) coadiuvato dal tormentato padre Damien Karras (Jason Miller).
Non diciamo di più sulla trama anche se il film ha terrorizzato generazioni e generazioni di spettatori ed è ormai entrato nell’immaginario collettivo. La iconica locandina con la sagoma di Padre Merrin inondata da una luce soprannaturale richiama i quadri di Magritte. Più che all’Espressionismo tedesco (Murnau), William Friedkin viene influenzato dal Surrealismo con il ribaltamento figurativo di una situazione normale. Viene in mente il sogno di padre Karras che porta a livello di coscienza il senso di colpa per la morte della madre e le immagini subliminali del demone il cui volto ha ispirato il Mistery Man di Strade perdute di David Lynch. Il lavoro sugli effetti speciali di Marcel Vercoutere e Dick Smith è davvero encomiabile: Regan cammina come un ragno (questa scena non era presente nella versione originale), vomita verde, si masturba con il crocefisso, gira la testa di 360 gradi, si esibisce in fenomeni di levitazione, propone un turpiloquio su base sessuale (bravissima Laura Betti nel doppiaggio della voce roca di Mercedes McCambridge). Eppure la scena più disturbante è la violazione del corpo di Regan da parte dell’equipe medica con una arteriografia in cui il sangue zampilla in maniera molto realistica. Anche il comparto sonoro è curatissimo: strani rumori in cantina, ronzii di mosche, tremendi boati, urla che provengono dall’inferno, voci distorte. E poi la colonna sonora perturbante: dalla classica di Penderecki (Kubrick ne prenderà spunto per il suo Shining) alle Tubular Bells di Mike Oldfield che daranno origine all’ horror pop elettronico dei Goblin per Dario Argento e alle composizioni minimali di John Carpenter.
Dopo il successo de Il braccio violento della legge, William Friedkin si rimette in gioco alzando la posta. Mostra come le debolezze umane sono la chiave della porta d’accesso del Male: la possessione di Regan è lo strumento che utilizza il male per portare gli uomini a disperare sull’umanità e ad allontanarsi dalla fede. Nella director’s cut del 2000 (versione integrale di 132 minuti) c’è un dialogo tra Karras e Merrin che tende a sottolineare questo aspetto subdolo della possessione diabolica: il senso di colpa, il rimorso, il vuoto affettivo, la mancanza di una figura di autorità sono dei punti deboli che permettono al maligno di innestarsi e proliferare. Anche il finale viene ammorbidito con un dialogo tra il tenente Kinderman (Lee J. Cobb) e padre Dyer (William O’Malley) che allude all’inizio di una nuova amicizia sul modello di Casablanca di Michael Curtiz.
Vincitore del premio Oscar 1974 per la migliore sceneggiatura originale e per il miglior sonoro, L’esorcista è un film inclassificabile che utilizza il genere horror per affrontare problemi teologici. Indaga il sottile confine tra il bene e il male, i limiti della scienza nel comprendere tutti gli aspetti della realtà oggettiva e pone il trionfo della spiritualità sulla ragione. Siamo fatti della materia di cui sono fatte le nostre paure. Per esorcizzarle è necessario un atto di fede.
Vincitore di 2 Premi Oscar:
- Migliore sceneggiatura non originale a William Peter Blatty
- Miglior sonoro a Robert Knudson e Christopher Newman
Vincitore di 4 Golden Globe:
- Miglior film drammatico
- Migliore regia a William Friedkin
- Miglior attrice non protagonista a Linda Blair
- Migliore sceneggiatura a William Peter Blatty
Titolo originale: The Exorcist
Regia: William Friedkin
Interpreti: Linda Blair, Ellen Burstyn, Jason Miller, Lee J. Cobb, Max von Sydow, Kitty Winn, Jack MacGowran, William O’Malley, Barton Heyman, Peter Masterson, Rudolf Schündler
Voce: Mercedes McCambridge
Distribuzione: Warner Bros. Discovery
Durata: 121′ – 132′ (versione integrale)
Origine: USA, 1973
Rivisto proprio stasera al cinema… A dir poco emozionante soprattutto perché è un film sempre attuale:la tematica del Male che può devastare l’essere umano non è mai da sottovalutare. Siamo tutti soggiogati e ammaliati da ciò che ci può deviare.