Lupita Nyong’o, da Hollywood a Berlino

Attrice, regista, produttrice e autrice, vincitrice di un Premio Oscar per 12 anni schiavo, ripercorriamo la carriera della nuova Presidente di Giuria della 74a Berlinale

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Annunciata in questi giorni come Presidente di giuria della 74a Berlinale, Lupita Nyong’o, non sbaglia un solo colpo qualsiasi sia il ruolo ricoperto: attrice, regista, produttrice o autrice. Nata a Città del Messico da genitori kenioti che si erano trasferiti in Messico perché spaventati dalle rivolte politiche, appena compie un anno la famiglia ritorna a Nairobi, dove Nyong’o cresce a contatto con diverse forme d’arte. Di discendenza Luo (un insieme di tribù collegate tra loro che vivono nel Sudan del Sud) è seconda di sei figli. Ripercorrendo la sua carriera, la sua prima volta su un palcoscenico è stata interpretando Giulietta in una produzione locale dell’opera di Shakespeare. A sedici anni ritorna per un breve periodo in Messico, dove studia la lingua spagnola. Conclusi gli studi, si trasferisce negli Stati Uniti e inizia a lavorare a varie produzioni cinematografiche come assistente alla produzione.  

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Ma è l’incontro casuale con Ralph Fiennes, su un set in cui lavorava nella produzione, che le cambia la vita e la convince a proseguire con la recitazione: “Se pensi che non potresti fare altro, allora fallo”. Prende in mano le redini della sua vita e si iscrive all’Università di Hampshire in Studi cinematografici e teatrali. Raggiunge la notorietà a ventisei anni grazie alla realizzazione del suo primo documentario, In My Genes, incentrato sulla discriminazione che la popolazione albina del Kenya riceve, presentato in numerosi festival cinematografici e di cui Nyong’o è ideatrice, produttrice e regista. Nel 2009 si iscrive al programma di recitazione della Yale Theatre School e in questo periodo appare in numerose produzioni teatrali, tra cui Doctor Faustus accende le luciZio Vanja di Cechov e opere di William Shakespeare come La bisbetica domata e Racconto d’inverno.

Dopo la laurea a Yale, fa il suo debutto cinematografico nel 2013 nel film 12 anni schiavo di Steve McQueen, nel ruolo della schiava Patsey, ottenendo il plauso del pubblico e della critica e aggiudicandosi un Critics’ Choice Award, uno Screen Actors Guild Award, ma soprattutto il premio Oscar alla miglior attrice non protagonista. Nel 2014 viene scelta come uno dei volti della campagna primavera del marchio Miu Miu, insieme a Elizabeth Olsen, Elle Fanning e Bella Heathcote. Recita nel thriller Non-Stop, con Liam Neeson e Julianne Moore, e la rivista People la nomina «la donna più bella del mondo». Nel 2015 prende parte a Eclipsed, produzione teatrale di Broadway in cui per la prima volta nella storia del teatro newyorkese il cast comprende solo interpreti donne e nere.

Nel 2019 pubblica un libro per bambini, Sulwe, risultato il più venduto nella classifica del New York Times, ispirato alla sua infanzia, che racconta di una bambina che soffriva perché aveva la pelle più scura della famiglia e che poi si accorge di quanto sia in realtà una ricchezza (anni prima una rivista, per una storia di copertina, le schiarisce e appiattisce la faccia, e lei chiede delle scuse). Nel 2020 è protagonista, insieme a Naomi Campbell e Kelly Rowland, del videoclip Brown Skin Girl di Beyoncé, uscito a poche settimane di distanza dal visual album Black Is King. 

La vediamo in Queen of Katwe (2016) di Mira Nair e in Noi (2019) di Jordan Peele, nei panni di una scatenatissima Scream Queen, nel 2018 entra nel Marvel Cinematic Universe nel ruolo della guerriera Nakia in Black Panther per continuare col sequel del 2022 Black Panther: Wakanda Forever, candidato all’Oscar per il miglior film, e nella trilogia sequel di Star Wars: Star Wars: Il risveglio della Forza (2015), Star Wars: Gli ultimi Jedi (2017) e Star Wars: L’ascesa di Skywalker (2019).

Artista versatile e politicamente impegnata, Nyong’o seleziona con cura i progetti a cui prende parte, in base al messaggio che veicolano. Durante le prime avvisaglie del MeToo, è stata tra le prime a parlare apertamente degli abusi che ha ricevuto da Harvey Weinstein quando studiava a Yale, pubblicando degli editoriali sul New York Times in cui ha spiegato che per boicottarlo ha rifiutato di girare molti film di successo che sarebbero stati prodotti o distribuiti dalla sua azienda. La sua decisione è stata di accettare solo ruoli in progetti di donne oppure di uomini apertamente femministi.

Nel 2024 la vedremo, insieme a Emily Blunt e Joseph Quinn, nella serie spin-off del franchise horror A Quiet Place: Day One, regia di John Krasinski. Recentemente è stata produttrice esecutiva del film sudanese Goodbye Julia (esordio alla regia di Mohamed Kordofani), selezionato per competere come miglior lungometraggio internazionale alla 96esima edizione degli Academy Awards. Attualmente sta preparando un podcast incentrato su storie vere della diaspora africana e sta sviluppando una serie basata sul libro Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie. 

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