8 Days in August, di Samuel Perriard

Tra dramma e commedia, il regista svizzero racconta la graduale trasformazione degli equilibri relazionali di una famiglia in vacanza nel sud Italia. Dal 24° Festival del Cinema Europeo di Lecce

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Due famiglie felici, una spiaggia tranquilla e una casa in collina sulla costa adriatica italiana. Ogni anno è sempre lo stesso, ma stavolta sarà tutto diverso. Come da tradizione, Helena e Adam trascorrono le vacanze estive con il figlio Finn nella solita casa in Puglia, in compagnia dei loro vecchi amici Ellie e Matti e del figlio Luca. Sembra essere tutto perfetto, ma al termine di una calda giornata in spiaggia, Finn perde i sensi per qualche istante e viene portato all’ospedale. Non è nulla di grave ma tanto basta a minare la serenità di una famiglia apparentemente felice. Perché quella domanda, ovvero cosa sia realmente successo a Finn, continua a tormentare i pensieri dei protagonisti. Tensioni e sospetti serpeggiano tra le due coppie ma soprattutto è il rapporto tra Adam ed Helena a subire maggiori conseguenze. Si tratta di soli otto giorni di agosto, abbastanza per stravolgere il corso della loro esistenza.

Negli ultimi anni abbiamo visto diversi film ambientati durante il periodo delle vacanze in località paradisiache che col passare del tempo si sono tramutati in luoghi da incubo, a volte in maniera soltanto apparente: Old di Shyamalan, Forza maggiore e Triangle of Sadness di Östlund, Infinity Pool di Brandon Cronenberg e la serie HBO The White Lotus. La vacanza è di per sé un tempo sospeso, una parentesi circoscritta dalla vita quotidiana che dovrebbe essere piacevole ma che spesso può risvegliare il malessere sopito durante l’anno. 8 Days in August segue questo schema a partire da una rappresentazione dell’Italia meridionale ben diversa dalla solita a cui siamo abituati, si percepisce il desiderio dell’autore di mettere in scena un luogo meno riconoscibile e quindi più universale per lo spettatore. Per questa ragione i campi lunghi scarseggiano in favore di focali più lunghe e piani stretti sui protagonisti che vengono seguiti dall’autore durante il loro graduale percorso di trasformazione. Sì perché 8 Days in August racconta innanzitutto la storia di due genitori con un figlio adolescente che deve imparare a ritrovarsi come coppia, aldilà della propria funzione di padre e di madre. “Non dovete far finta che vada sempre tutto bene”, esclama Finn in un momento di confronto nel quale dimostra la propria maturità e il desiderio di vedere i genitori nuovamente felici. Chiaramente non basta la voglia del figlio o una vacanza in Italia per guarire un rapporto, ognuno di loro dovrà affrontare il giusto percorso e, magari, fare gli incontri giusti lungo il tragitto.

Con 8 Days in August, Samuel Perriard ha l’obiettivo di voler raccontare l’esplosione delle tensioni che covano per anni in un rapporto di coppia borghese dalla facciata serena e “normale”; tra invidie, gelosie, dubbi e incomprensioni. Nel momento in cui una relazione perde il suo l’equilibrio, c’è la necessità di ritrovare la propria posizione all’interno del rapporto nel minor tempo possibile, prima che sia troppo tardi. Il regista riesce solo a tratti a farci immergere nella questione famigliare dei protagonisti, da un lato si riconosce nello sguardo di Helena e Adam un affetto che va oltre la crisi che stanno vivendo, dall’altro c’è ben poco che possa giustificare i loro comportamenti, tanto da apparire alquanto arbitrario. Magari con un incidente scatenante più forte e con maggior tensione tutto ciò sarebbe stato più efficace agli occhi dello spettatore, in ogni caso il quadretto famigliare e il confronto continuo con l’altra famiglia felice funziona e in alcuni momenti riesce perfino a divertire.

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