L’AI è l’uomo che cerca di replicare la sua mente. Intervista a Gianluigi Perrone

Intervista esclusiva all’autore di Love Hurts, cortometraggio realizzato con l’ausilio di AI. Gianluigi Perrone ci ha così parlato di questa nuova tecnologia e delle prospettive che apre

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I guantoni gialli indossati dai pugili protagonisti di Love Hurts non arrivano mai a colpire. Il cortometraggio di Gianluigi Perrone (Realtà Virtuale – Come funziona il nuovo cinema a 360°) realizzato con l’ausilio dell’AI mette in scena, infatti, quello che sembrerebbe un allenamento. L’incontro sembra ancora lontano, ma sembra avvicinarsi. Così come si avvicinano le figure maschili e femminili. Cosa si nasconde nell’incrocio dei loro sguardi? Sfida, risentimento o voglia di riscatto? Comunque, questa tensione passa attraverso la musica, che guida la navigazione dello spettatore nel mare di sentimenti a cui il cortometraggio allude. L’allenamento è finito. C’è chi rimane a terra, esausto. C’è chi, invece, solleva i guantoni al cielo, pronto per una nuova sfida. Con Gianluigi Perrone, autore di Love Hurts, abbiamo scambiato due parole proprio sulle nuove sfide lanciate dall’AI, sulle prospettive che rilancia e su un panorama, quello cinese in cui vive da molto tempo, all’avanguardia in questo comparto.

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Da cosa e quando nasce il tuo interesse per l’Intelligenza Artificiale? Come si è sviluppato Love Hurts?

L’interesse per l’AI nasce dalla lettura di Asimov ma professionalmente a causa della mia attività con Polyhedron VR Studio, la compagnia che ho fondato a Pechino per realizzare esperienze immersive in realtà virtuale. Il mio background è nell’industria cinematografica ma quando mi è stato proposto di fare VR sono entrato in una comunità californiana del settore, chiamata Kaleidoscope, che raggruppava tutti i nomi che hanno fatto la differenza in questa nuova vita del virtuale. Nel loro primissimo evento a Los Angeles ero all’epoca l’unico italiano e il primo a produrre in Cina, ma ho incontrato gente da ogni tipo di industria dell’hi-tech, e questo ha allargato la mia visione personale ad altre tecnologie, tra cui le reti neurali, le blockchain, 3D printer e l’AI. Le mie prime sperimentazioni ibride tra VR e AI hanno interessato dei prodotti medical, che è un mondo che comunque conosco bene. La Cina ha mantenuto a lungo il primato mondiale sulla diffusione del machine learning, così è capitato che dei produttori mi proponessero di sperimentare qualcosa solo ed esclusivamente fatto tramite strumenti in AI, forse spinti proprio dal clamore di Hollywood. Da ciò è nato Love Hurts.

Written prompted directed. Ci puoi spiegare cosa significa questo credito? Secondo te, il prompter è una figura professionale che in un prossimo futuro impareremo a conoscere nel cinema?

Il prompt manager, o prompt supervisor, è proprio la qualifica che sto imparando attraverso questo studio pratico. Posso dire, senza dubbio, che anche se le tool verranno accorpate e semplificate, difficilmente si arriverà a breve a permettere a qualsiasi cittadino della strada di fare il proprio film in AI. Al contrario. Ho compreso che bisogna avere competenza in tutti i passaggi della vita produttiva di un film, quindi solo chi ha un’esperienza completa del mezzo cinematografico saprà come agevolarsi. Bisogna capirne bene di scrittura creativa, di storyboarding, di regia, di montaggio. La macchina non funziona se non sai dirgli cosa fare. Nel cinema, se un regista non è un bravo direttore d’orchestra può comunque esserci qualche maestranza esperta un grado di metterci la classica “pezza sopra”. In questo caso bisogna sapere cosa si fa, altrimenti si rischia di provare all’infinito. Il prompt manager fa questo. Io sono un regista come David Sandberg, il regista di Lights Out, un po’ tuttofare, quindi ho raggiunto un risultato e ho trovato stimolante pensare in termini di produzione diversamente.

A seguito dell’elaborazione dei tuoi prompt, quanto controllo c’è stato da parte tua nei confronti del materiale?

È come dirigere un operatore di camera da ciechi. Senza vedere il monitor nel combo. Quindi sono necessari molti tentativi. C’è anche in parte un approccio documentaristico. Non sei certo di cosa verrà fuori, ma devi cercare di arrivare più vicino possibile al risultato che volevi. Certo, ci sono dei limiti, e bisogna intuire come superarli. Il montaggio, per esempio, è un ruolo chiave.

Quali sviluppi ti auspichi o ti aspetti in futuro per questo tipo di tecnologia?

l piano di Netflix è rivoluzionare il modello degli Studios, quindi niente più potere allo star system, agli agenti, ai sindacati e alle crew. Mettete insieme gli episodi più fotorealistici di Love Death & Robots con Bandersnatch di Black Mirror, ovvero dei film interattivi, e avrete ciò a cui punta Netflix. Qualcosa di molto simile all’industria videoludica, che recentemente ho esplorato. Molto poco sexy, rispetto al cinema, ma molto efficiente per le produzioni. Non si può fermare il progresso, secondo me, ma non si perderà lavoro dall’oggi al domani. La gente ama il cinema tradizionale, e ancora per generazioni, se non in eterno. Perché è artisticamente la forma di espressione più bella creata dall’uomo. Si trasformerà. Certo, è vero che in pochi mesi sono state rilasciate tools che usano il machine learning per il sound design, per i sottotitoli, per il color grade che possono mandare a casa molta gente, ma non verranno adottate subito. Il sistema non funziona così. Il cinema si basa sul magnificare la produzione, e aumentare il production value. Un processo del genere non giustificherebbe molti progetti in termini produttivi. L’uomo sarà sempre necessario.

Da quanto tempo vivi in Cina? Cosa puoi dirci di questo contesto, profondamente diverso da quello occidentale nella relazione con la tecnologia (vista in un’ottica più organica, per così dire)?

Dal prossimo anno saranno 12 anni, quindi un ciclo completo dello Zodiaco cinese. La popolazione cinese ha subito un salto di “progressizzazione*, se mi si passa il  termine, avveniristico. La popolazione vive in una tecnologizzazione che l’Occidente, inclusi gli USA, si sognano. Nonostante ciò, per quanto riguarda altri contesti sociali, sono molto indietro. Adesso è un periodo molto duro, per via della minaccia della guerra e della crisi economica, e la presenza in Cina non è più così spendibile. Ho realizzato un lungometraggio, Spillover, e temo che il fatto che sia cinese lo renda ostico al mercato occidentale, eppure credo sia necessario aprirsi alla conoscenza di questa cultura. La chiusura è un errore rischiosissimo. Si rischia di venire isolati tecnologicamente. Se non trovate pezzi di ricambio sapete qual è il motivo.

Love Hurts ha come figure centrali dei pugili che non arrivano a battersi in un vero e proprio incontro. Puoi spiegarci questa scelta?

Spesso il pugilato nel cinema è stato usato come metafora della vita. Un incontro di pugilato tra un uomo e una donna è un hi-concept originale e forte di per sè. Ho pensato che fosse sia personale che attuale raccontare il rapporto di coppia e come il femminile affronta il maschile. Quest’ultimo rivela le sue debolezze a causa del proprio narcisismo. Non è un’idea femminista ma più una constatazione. L’idea è venuta in palestra, infatti io stesso posseggo dei guantoni gialli. Il motore del progetto era la sfida tecnologica, quindi avrei potuto raccontare qualsiasi storia. È venuta fuori questa.

Il conflitto che suggerisce il titolo arriva in quanto sensazione, in quanto emozione invece che come discorso narrativo (la musica è fondamentale in questo senso). L’immagine potenziata dalla AI, a tuo modo di vedere, richiederà un eclissarsi della narrazione classica?

Questo tipo di narrazione sensoriale ed emotiva mi piace molto, e l’ho sperimentata in altri casi. A onor del vero, non si sarebbe potuto fare altrimenti. Allo stato attuale delle cose ho riscontrato che la AI è perfetta per i music video, per un certo tipo di commercial concettuale, per il mockumentary e per un certo horror/thriller che potrebbe far pensare al primo Fincher o a un’evoluzione dell’espressionismo tedesco. Nulla di ciò si riscontra da Love Hurts ma nel frattempo sono andato avanti con la ricerca e la sperimentazione. Il cinema è prima di tutto narrazione per immagini, quindi è questo tipo di idee che potranno trovare la loro via nell’AI.

Cosa ne pensi dei recenti scioperi e della narrazione attorno all’AI?

Come accennavo prima, si è creato un concetto errato da parte delle produzioni, che credono ingenuamente di poter fare a meno delle crew e risparmiare, così come dalle figure creative che hanno paura di perdere il lavoro. Come ogni innovazione ci si riaggiorna. Basti pensare alla rivoluzione digitale. È vero, la pellicola si usa molto di meno, ma è nato lavoro per molte altre figure.
Forse lo sciopero era un escamotage per colpire specificamente alcuni nemici degli Studios, infatti molte produzioni sono state esentate dai divieti. Recentemente il mondo sembra impazzito ma, vista da una prospettiva diversa, tutti gli elementi di conflitto, guerra, tecnologia, economia, ecologia, media, sono la manifestazione dello scontro tra fazioni che vogliono spingere il mondo verso due tipi di evoluzione diversi. Queste fazioni non sono divise territorialmente, né ideologicamente, ma solo spinte da interessi di sopravvivenza economica.  Anche l’entertainment gioca un ruolo decisivo in questo. Lo sciopero dovrebbe essere stato vittorioso ma non fermerà il progresso. Veramente crediamo che Tata Francesca possa fermare il progresso? Se fossi in lei mi preoccuperei di più del fatto che i social network hanno già allungato le spire verso il cinema, e loro sì che possono avere il potere di rimpiazzare tutte le figure chiave senza averne le competenze. Sta già succedendo.

Nick Land (filosofo accelerazionista che vive anche lui in Cina), in una recente intervista, suggerisce, considerando i dispositivi elettronici come prolungamenti del nostro sistema nervoso, la presenza di segnali provenienti dall’esterno, pronti a contagiarci e a mutarci. L’AI è uno di questi segnali? Cosa ci comunica, a tuo modo di vedere (sempre che lo faccia)?

Non conosco questa teoria. Io sono fondamentalmente animista. Noi siamo parte di un grande organismo, ciò che viene da noi fa parte del tutto, e anche ciò che proviene da noi in quanto creatori è trasmissione di una coscienza collettiva. Oppenheimer, raccontandoci il Prometeo Americano, non ci mette in guardia solo sul rischio del nucleare e della guerra mondiale, ma anche della scienza e in particolare dalla nuova grande arma, che è appunto l’AI. Quale sarebbe concretamente questo pericolo? Che tramite il machine learning l’AI possa capire come “liberarsi” più velocemente di noi. Anzi, da noi. Oppure che qualche idiota costruisca un innesco per ordigni senza rendersene conto. Essendo estremamente soggettiva nell’interpretare gli ordini un modulo di linguaggio potrebbe fare come il genio della lampada, fare di testa sua e causare danni involontariamente. La soluzione sarebbe di non lasciare che esista nessun sistema di controllo computerizzato che non richieda una conferma umana. Un po’ come i captcha che bloccano tutto. Voglio fare una scommessa. Le AI verranno regolamentate pesantemente quando ci sarà da qualche parte (in Asia) un incidente grave che farà terrorizzare il mondo. I danni sulla coscienza umana vengono da altro, invece. Sarebbe utile una terapia collettiva oggi, un’educazione all’empatia.

Come pensi che verrà distribuito Love Hurts? Lo chiedo pensando anche alla tua presenza su Twitch e alla pervasività dello strumento e del progetto, che ti chiederei infine se definiresti cinema.

Esistono già canali dedicati ai prodotti in AI e cresceranno. Love Hurts è un primo esperimento ma verrà presto qualcosa di più complesso, quindi presto lo rilascerò online, dopo che avrà fatto alcuni festival che mi hanno invitato. Grazie per aver citato io mio canale Twitch e YouTube. Si chiama Mind Cathedral e nasce per riallacciare contatto con l’Italia dopo l’isolamento pandemico, che ho esorcizzato filmando Spillover ma che ha lasciato una grande divisione che non interessa solo le distanze. Un’occasione per parlare con amici e gente interessante di cinema, geopolitica soprattutto riguardo alla Cina che rimane un mistero per l’Occidente, di tecnologia, di scienza, di filosofia e di benessere fisico e mentale. Nel crocevia di queste discipline c’è la consapevolezza che ogni scoperta dell’uomo altro non è che la memoria della propria struttura universale. L’AI è l’uomo che tenta di replicare la propria mente. Il gaming è l’uomo che imita la propria esistenza. Il cinema è l’uomo che replica il proprio subconscio. Il sogno nel sogno.

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